All'inizio dell’anno 1989 l’idea di
un’Europa libera e unita, sotto il vessillo della libertà democratica e della
libera circolazione di merci e persone, sembrava una follia pura e semplice. Ma
a partire dal 9 novembre di quell’anno, venti di speranza hanno ricominciato a
soffiare su un’Europa che per lunghi anni era stata divisa in due blocchi
contrapposti. La caduta del Muro di Berlino, che divideva la zona americana da
quella sovietica, costituisce, infatti, la tappa principale verso la
riunificazione dell’Europa.
A quasi 20 anni da questo evento che ha cambiato il mondo, possiamo riflettere
più in profondità sullo sviluppo dell’UE, sulla sua identità e sul suo futuro,
chiedendoci se realmente facciamo parte di un’unione o se ancora oggi parlare
di Europa unita rimane un’utopia.
Sono due i punti sui quali vorrei soffermarmi che sembrerebbero dar ragione
alla tesi utopistica, uno di carattere economico e l’altro politico, sociale e
culturale.
Il primo punto riguarda la crisi economica che ha colpito profondamente
l’America e che ora si riversa catastroficamente sull’Europa, fino ai paesi
dell’Est, dove ha colpito con più ferocia. Ungheria, Lettonia, Slovacchia,
Bulgaria, Romania, Polonia, Repubblica Ceca, Ucraina e in parte la Russia sono
paesi che hanno basato la propria politica economica su radicali misure di
privatizzazione, accogliendo investimenti esteri. In questi paesi il debito
pubblico e il deficit commerciale con l’estero sono drasticamente aumentati.
La caduta economica dell’est sembra irrefrenabile soprattutto a causa del
rifiuto da parte dei capi di Stato e di Governo, durante l’Emergency Summit
Meeting del 1˚ marzo a Bruxelles, delle misure di protezione delle diverse
industrie nazionali e di un piano di aiuti per l’Europa dell’Est. Tale rifiuto
secondo molti analisti appare alquanto sconsiderato; ignorare la richiesta di
aiuto dell’Est Europa significherà infatti dover essere costretti a pagare in
seguito un prezzo decisamente più alto: il rischio di una nuova cortina di
ferro fatta di redditi e diffidenza che potrà dividere l’Unione Europea. A
questo proposito il giudizio del quotidiano danese Jyllands-Posten appare
illuminante: “Al posto di
aspirare all’unità necessaria, il dislivello tra i vecchi Paesi dell’UE e i
nuovi nati dell’Europa dell’Est non smette di aumentare all’intensificarsi
della crisi. L’Europa dell’Est ha bisogno del
sostegno dell’UE e della solidarietà sulla quale l’UE si basa. Se i
rappresentanti politici europei non si mettono rapidamente ed efficacemente
all’opera per trovare una soluzione per bloccare l’avanzamento della crisi
nell’Europa dell’Est, allora i progressi riportati nel corso degli ultimi
decenni rischiano di sparire per sempre”.
Il secondo punto riguarda invece la politica di sicurezza nei confronti delle
migrazioni. Dopo la caduta del Muro e l’apertura dei confini, si è assistito ad
una nuova ondata migratoria proveniente dall’Est Europa, che ha diffuso
all’interno dell’Unione un atteggiamento di rigetto e xenofobia. La
“governance” delle migrazioni e la lotta contro l’immigrazione clandestina sono
prospettate come la soluzione principale per dare sicurezza alle società
europee, per evitare che contaminazioni culturali possano inquinare la loro
identità. Tale atteggiamento non favorisce né l’approccio sereno degli
autoctoni verso gli immigrati e neppure il processo di integrazione degli
immigrati nel tessuto delle società di arrivo.
Scaricare in modo univoco sulle migrazioni la causa dell’insicurezza che i
cittadini europei vivono nell’epoca post moderna, invece di affrontare in modo
realistico le problematiche che hanno radici negli sconvolgimenti epocali o in
una globalizzazione economica fuori da ogni controllo, appare funzionale a
creare nell’opinione pubblica l’immagine di uno Stato vigile, preoccupato della
sicurezza dei suoi cittadini.
Alla luce dei punti analizzati si evince, dunque, che il consenso a favore
dell’allargamento dell’Unione Europea è strutturalmente fragile. L’Europa a
ventisette fatica a trasformarsi in un’entità coesa e identitaria, poiché
l’impianto neoliberista e i valori a cui si richiama non funzionano. In
un’Europa, infatti, più unita per interessi commerciali e di profitto, vi è la
netta prevalenza dell’economia sulla politica. Prevale l’attenzione al mercato
che non opera certo con fini d’inclusione e coesione. Inoltre il processo di
allargamento è stato realizzato nell’ottica di conformare i paesi candidati
all’adesione a certi criteri economici, politici e giuridici per omologare le
loro strutture nazionali al modello democratico liberale dei paesi occidentali.
Tuttavia le aspettative di convergenza sul modello occidentale sono state
smentite dalla realtà delle relazioni tra Europa-Occidente e Russia, il cui
obiettivo di conservare lo status di grande potenza ha drammatizzato il dilemma
tra la difesa della propria autonomia e la possibile integrazione con
l'Europa-Occidente. D’altra parte, la mancanza di un vero progetto
dell'Occidente verso la Russia non ha aiutato a far percepire a quest'ultima i
vantaggi di una sua possibile integrazione nello spazio europeo. Il rapporto
tra Russia ed Europa-Occidente si è così sviluppato senza una chiara direzione
e rimane turbato da molte incomprensioni di fondo.
Russia ed Europa hanno tuttavia bisogno l’una dell’altra, non solo per il forte
valore simbolico di unificazione europea, ma anche per motivi più pragmatici.
Dal punto di vista economico, le dinamiche dell’economia mondializzata
impongono ai paesi dell’area euro di allargare a tutti i costi le proprie
dimensioni, al fine di realizzare un mercato interno più ampio e potente capace
di affrontare al meglio la concorrenza sul mercato internazionale. Mentre dal
punto di vista politico, sociale e culturale, un'Europa unita significa
un'Europa più stabile e più forte sulla scena internazionale. Per questo
risulta necessario affrontare politiche di integrazione della componente
migratoria, presente in modo strutturale nelle società europee. In un
continente che si vuole unire, conoscere le esperienze degli altri paesi e
degli altri popoli è un dovere. Gli sforzi per una globalizzazione culturale e
per eliminare le concezioni di Ovest e Est devono essere finalizzati a
scongiurare il pericolo di conflitti e ad allontanare lo spettro di una nuova
cortina di ferro. Quando si ignora il passato, infatti, la storia si ripete e
per evitare questo l’Unione Europea deve allontanare i fantasmi del comunismo e
dei nazionalismi e far emergere la propria forza e il senso della propria
identità comunitaria.
Nessun commento:
Posta un commento